venerdì 24 settembre 2010

Arthas - l'ascesa del Re dei Lich

Nota: Mab sta un po' facendo l'acrobata per riuscire a postare: questo pezzo e' suo, buona lettura (io vi aspetto lunedi' per Archaeology ;))

--MaDdi3

Arthas


Sono molto grata ai miei amici che mi hanno regalato, per il mio compleanno, questo romanzo, perché non solo han deciso di andare sul sicuro puntando su qualcosa marchiato WOW (una garanzia di successo sicuro con la sottoscritta), ma anche perché i durante i miei raid librari i romanzi di World of Warcraft mi hanno sempre suscitato interesse e curiosità, ma non a sufficienza da spingermi a comprarli, soprattutto perché la paura di trovarsi qualcosa per le mani di scadente o insoddisfacente è sempre dietro l’angolo.
Ad ogni modo se dovessi basarmi sulle mie regole d’oro dei libri che puzzano di fregatura dalla copertina non avrei mai letto, né consigliato questo libro, perché il quartino recita:

La sua malvagità è leggenda. Signore del Flagello e nemico giurato di tutti i popoli liberi di Azeroth, il Re dei Lich è un'entità di incommensurabile potere e ineguagliabile malizia, un'anima gelida che trama senza posa per la distruzione di ogni forma di vita presente nel World of Warcraft. Ma non è sempre stato così. Molto prima che il suo spirito si fondesse con quello dello sciamano degli orchi Ner'zhul, il Re dei Lich era Arthas Menethil, principe ed erede al trono di Lordaeron, devoto paladino della Mano D'Argento. Quando la misteriosa comparsa di una pestilenza in grado di diffondere il contagio della non morte sembra minacciare tutto ciò che ama, Arthas si spingerà fino alle gelide distese di Northrend alla sciagurata ricerca di un'antica lama runica i cui leggendari poteri potrebbero salvare la sua terra natale. Ma sarà proprio l'oggetto della sua ricerca a farlo precipitare nel baratro della dannazione, esigendo dal nuovo padrone un prezzo terribile.


Ed infatti se non fossi un’accanita giocatrice di WoW leggendo semplicemente questo estratto - tutt’altro che originale - non mi sarebbe mai e poi mai passato per l’anticamera del cervello la benché minima idea o semplice curiosità legata a questo titolo.
Tuttavia c’è da dire che la lore azerothiana è densa di spunti, personaggi e storie degne di essere raccontati. Figuriamoci quando il protagonista indiscusso è Arthas Menethil, uno dei personaggi icona (insieme a Illidan) e più amati della saga videoludica che tutti noi ben conosciamo.

Prima di procedere con questa recensione, vorrei spendere un paio di parole sul commento che andrete a leggere.
Non sono una critica professionista, tuttavia le mie osservazioni si basano, ne più ne meno, su quello che ho letto. Siete liberissimi di pensarla diversamente da me, ma non erigetevi a paladini della letteratura di genere se secondo voi le mie critiche sono sbagliate.
Sono le mie critiche punto e a capo.
Il dialogo è benvenuto purché questo sia mantenuto in tono civile e non offenda nessuno (me in primis :P).

Ebbene cosa posso dire di questo libro? Che si legge molto velocemente. Avendo a disposizione solo la pausa pranzo e i viaggi casa-ufficio (una media di meno di tre ore al giorno) ho letteralmente divorato le 357 pagine. Purtroppo i pregi di questo libro si fermano qui ed il perché si può riassumere in tre passaggi chiave:

# lo stile confuso e poco curato,
# la caratterizzazione bidimensionale dei personaggi principali
# una scarsa cura per quel che riguarda l’editing della versione italiana (sigh!).

Ad essere del tutto onesta con me stessa e con voi, o nostri affezionatissimi, devo segnalarvi per onor di cronaca che il motivo per cui sono arrivata fino in fondo a questa brutta faccenda, è il mio amore per la lore warcraftiana e che ho trovato estremamente piacevoli alcuni rari passaggi, perlopiù nei primi capitoli, in cui ritrovavo spunti di gioco, che ho vissuto in prima persona tramite i miei personaggi in WoW. A parte questa piccola parentesi, il libro alterna momenti di facepalm a scene WTF continue e questa è una situazione tragicomica, che rasenta il surreale.
Arthas narra la vita del Principe di Lordareon dalla sua infanzia fino alla sua (spoiler spoiler :P) autoincoronazione come Lich King. Va da se che, a parte alcune scene di raccordo, il grosso della vicenda è la trascrizione in forma romanzata della trama giocata in Warcraft 3 (campagna umani e non morti) e The Frozen Trone. Quello di cui non mi capacito appunto, è come la signora Golden abbia, pur avendo a disposizione già la pappa pronta (trama di un certo spessore già esistene e dei protagonisti complessi), trasformato il tutto in una prolissa fanfiction degna del peggior fanboy emo.

Ma andiamo per ordine i tre punti fondamentali riassumono il perché boccio questo libro, vorrei analizzarli qui con voi, facendovi capire il perché e il percome delle mie motivazioni.

Questione di stile.

Esistono mille modi di narrare una storia, lo stile in un romanzo è tutto, quando il plot principale non si distingue per originalità, perché da sapore alla trama e determina la vera qualità di quello che stai leggendo. Qui non si discute della qualità trama che non aggiunge nulla di nuovo al genere, ma a come questa viene sviluppata e raccontata al lettore.
Ogni genere narrativo ha bisogno di uno stile adeguato per rendere l’esperienza della lettura qualcosa di piacevole e non tedioso, nel fantasy classico, dove i protagonisti sono cavalieri umani, mi aspetto quanto meno un registro curato, una ricerca di vocaboli che richiami ed evochi in me la sospensione temporale di un medioevo artefatto, invece il romanzo è scritto in modo discorsivo e rapido con dialoghi asciutti e che sembrano ideati da un quattordicenne.
Questo è un dialogo tipo tra Arthas e Jaina (Arthas sta lasciando Jaina, pag120)

A:“E’ la cosa migliore. Forse un giorno le nostre cose saranno diverse e potremo provarci di nuovo. Non è che io non… che tu…”
[segue descrizione in cui il nostro abbraccia addolorato Jaina]
J:“Va tutto bene, Arthas ho capito”
A:“Davvero?”
J:“Onestamente? No. Ma va tutto bene. Succederà se deve succedere. Lo so”
A:“Jaina, voglio solo essere sicuro di fare la cosa giusta per tutti e due”


A questo punto mi sarei aspettata una scena tipo il vecchio spot della pubblicità della Sip.

Le descrizioni di ambienti e dei personaggi sono sacrificate in base al principio che chi sta leggendo questo romanzo conosce già i personaggi e i luoghi perché li ha visti, quanto meno, in Warcraft 3 o in World of Warcraft e purtroppo questo romanzo non è esente dal difetto peggiore dei brutti romanzi fantasy: l’uso sconsiderato ed in quantità elevate di metafore ed aggettivi fini a loro stesso.
Ma quello per cui ho sofferto di più leggendo questo libro è il senso di smarrimento e confusione nelle scene di battaglia causatomi dalla scarsa chiarezza temporale dello svolgersi dei fatti. Infatti, si nota uno stacco netto nei pezzi di romanzo dove l’autrice si limita a romanzare le missioni compiute dai protagonisti di Warcraft 3 e i punti di raccordo, i capitoli 18 e 19 dove si narra la caduta di Quel’Thalas sono un esempio lampante di quanto il fattore tempo sia eccessivamente compresso e gestito in maniera poco chiara. Una campagna di conquista verosimile richiede diversi mesi, se non altro per percorrere fisicamente vasti territori descritti nel libro, mentre la disfatta degli elfi è liquidata in poche pagine. Tutte le battaglie (ovvero le parti che riguardano le missioni della campagna di gioco) subiscono questo stile sciatto e confusionario, addirittura in quella che dovrebbe essere la seconda missione della campagna umani, Arthas incontra in maniera rocambolesca e totalmente casuale i
preti elfi e il mortar team dei nani (il suo esercito nella missione).

I personaggi dovrebbero essere in 3D anche nel libro.

Arthas è un personaggio complesso che travolto dagli eventi subisce una crescita notevole. Il nostro eroe passa da giovane principe amato dal suo popolo a spietato assassino e distruttore di regni, per poi divenire egli stesso parte del male assoluto.
Detto questo anche uno stupido si accorgerebbe che un’evoluzione del genere richiede uno sviluppo del personaggio appropriato, coerente con lo svolgersi della trama ([/sarcasm]vero, George Lucas? [/sarcasm]).
Per coloro che non sono proprio pratichi della storia di questo personaggio, riproporrò qui sotto i punti chiave della sua storia personale.

Arthas assiste alla nascita di Invincibile.
Arthas incontra Jaina Proudmoore e dopo alcuni trascorsi i due si innamorano.
Arthas è costretto ad uccidere il suo cavallo perche’ si azzoppa per colpa sua.
Arthas prende coscienza della gravita della pestilenza e decide di sterminare la popolazione infetta di Stratholme.
Arthas si imbarca nella spedizione al Nord per uccidere Tichondrius e reclama Frostmourne uccidendo il suo mentore, diventando Cavaliere della morte.
Arthas torna in patria e assassina il padre.
Arthas uccide Uther e profana i resti del padre.
Arthas distrugge la nazione degli elfi e corrompe il pozzo solare.
Arthas fa in modo che Archimonde arrivi su Azeroth e distrugga Dalaran.
Arthas si fonde con Ner’zhul e diventa il Lich King.

In tutto questo ci sono due eventi traumatici che segnano l’adolescenza del giovane principe: la morte dell’amato cavallo Invincibile e il rapporto con Jaina.

Ora posso capire che questi due siano eventi importanti e che segnino il carattere di una persona, ma il rimorso che può scaturire da queste ferite ha un senso fino all’assasinio del padre e dei suoi maestri, una volta ucciso Uther Lightbringer mi aspetto che Arthas perda definitivamente la sua umanità, ma invece dalle pagine del libro Arthas viene dipinto come un bambino capriccioso ed egoista capace solo di addossare la colpa delle sue azioni su altri, incapace di superare i suoi demoni, anche quando compie atti efferati palesemente in contrasto con la sua psicologia infantile. Nella testa della Golden Arthas dovrebbe essere il cavaliere della morte spietato e terribile, ma lei riesce solo a renderlo un bimbominkia lamentoso che passa quasi 300 pagine a sentire fitte allo stomaco perché secondo lui Jaina gli ha voltato le spalle.
Il motivo di questa scelta narrativa ci viene spiegato in un epilogo abbastanza scontato e bruttino.

E se questo non è abbastanza anche Panini ci mette del suo.

Ebbene si, anche Panini ci mette del suo per aggiungere rovina a qualcosa che aveva già i suoi grattacapi.
In realtà l’editing italiano è responsabile di una traduzione sciatta, dalla quale pensa di discolparsi mettendo un disclaimer all’inizio del libro in cui avverte i lettori che i nomi propri dei personaggi non saranno tradotti, per evitare che nei giocatori che sono abituati ad interagire con quei personaggi si crei confusione, mentre per quel che riguarda i luoghi questi saranno tradotti come da indicazioni di Mamma Blizz.
Come per dire “Oh regà, se ci sono cose tradotte a cazzo non è colpa nostra”.
Bel discorso, peccato che per alcuni nomi di città tradotti più o meno in modo decente (Città Sotterranea per Undercity, Lunargenta per Silvermoon) ne abbiamo altri che non sono stati tradotti, ma quel che è peggio sono i nomi che sono stati tradotti a metà (Ghiacciaio dell’Icecrown, Campi di Felstone, Baia di Daggercap…). Una traduzione degna di tale nome si sarebbe battuta per dare nomi in italiano a tutte le località, come ad esempio sono i luoghi ne “Il Signore degli Anelli” che suonano in italiano sempre appropriati e familiari, oppure avrebbero potuto lasciare i nomi di tutti i luoghi in originale, applicando allo stesso modo la regola usata per i nomi dei personaggi.
Ma queste, tanto, sono parole al vento perché è inutile chiedere una buona traduzione quando in partenza il titolo è sbagliato: Lich King si traduce Re Lich non Re dei Lich. Vorrei proprio chiedere al signor Andrea Toscani da dove salta fuori quel “dei”.

E siccome a noi piace ricordarlo così, beccatevi una compilation dei momenti topici del nostro principe Lich King preferito





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